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Come battere la “recessione umana”?

Con il passare dei mesi risulta confermata la previsione di chi vede, nella lenta risalita in atto dei vari Pil nazionali, compreso quello italiano, una condizione necessaria ma non sufficiente per la ripresa dell’occupazione. Anzi, questa è prevista, per tutto il 2010, in ulteriore diminuzione. Ciò impone il ripensamento di una serie di principi che, prima della crisi, sembravano inviolabili

Dal recente incontro annuale tenutosi nella cittadina svizzera di Davos fra esponenti politici ed eminenti studiosi di economia internazionale, ci si attendevano significative indicazioni riguardo a una “exit strategy” mondiale che fornisse linee guida chiare da seguire per sostenere il dopo crisi. In realtà, la montagna ha partorito il topolino.

Tutti, dagli esponenti di governo agli studiosi più autorevoli, convergono sul fatto che la fase acuta della crisi è alle spalle; nel contempo, però, le aspettative future sono molto incerte e, soprattutto, differenziate fra le realtà dei vari Paesi. Insomma, una “economia globalizzata affrontata con politiche localistiche”. È vero che tutti dicono “indispensabile” una nuova disciplina dei mercati finanziari, ma non c’è accordo sui livelli di controllo e, soprattutto, non è solo disciplinando la speculazione che si ridà slancio alla ripresa. La cultura che in questi anni ha privilegiato la redditività finanziaria, rispetto alla remunerazione da impresa, è dura ad essere rimossa: l’imprenditore, soprattutto la grande azienda, tende sempre di più a fare il finanziere e meno a correre i rischi d’impresa.Contro la crisi, iniezioni massicce di liquidità

I Paesi guida hanno tutti affrontato la fase acuta della crisi immettendo crescente liquidità nel sistema, a sostegno sia degli istituti di credito sia dei settori portanti dell’economia. In tal modo si sono accentuati gli sbilanciamenti dei conti pubblici, e anche Paesi tradizionalmente più “virtuosi” come Germania, Giappone e Regno Unito hanno aumentato i deficit di bilancio e l’indebitamento complessivo. In molti casi, poi, la crisi finanziaria ha scoperto alcune illusioni di virtuosità economica, come Irlanda e Spagna, e nel contempo ridimensionato il giudizio negativo verso Paesi come l’Italia in cui l’indebitamento pubblico è mitigato dal forte risparmio privato. Da parte di alcuni santuari economici l’eccessivo indebitamento dello Stato a sostegno dell’economia è stato criticato paventando un indebolimento delle teorie iperliberiste che hanno prevalso negli ultimi anni come linee vincenti per il benessere. Ma senza far ricorso a discussioni di tipo filosofico, il pragmatismo di chi governa non aveva altre vie d’uscita: andava prima salvaguardata la tenuta sociale.

Il dibattito fra liberismo ed economia partecipata è appena sopito, ma è certo che riemergerà. Dalla crisi acuta stiamo lentamente uscendo, ma non tutto tornerà come prima. In primo luogo, sembra definitivamente caduta la correlazione fra crescita del Prodotto interno lordo ed espansione dell’occupazione: l’aumento del Pil è considerato condizione necessaria ma non sufficiente a garantire lo sviluppo dell’occupazione, soprattutto della buona occupazione. Il consigliere economico del presidente USA Barack Obama, Larry Summers, ha sintetizzato la situazione in una frase: “Siamo in presenza di una ripresa statistica accompagnata da una recessione umana”.L’Italia sconta i propri deficit strutturali

In tale contesto la situazione italiana è ancor più complessa, anche se le stime di ripresa per il 2010 sono un po’ più ottimistiche di qualche mese fa: Confindustria prevede per l’anno in corso un incremento del Pil pari al +1,1% mentre l’Ocse, un po’più prudente, ci attribuisce un +0,8%. Ma poiché l’Italia viene dal -4,9% del 2009, ciò significa che ai ritmi attuali ci vorranno almeno quattro anni per recuperare la condizione pre-crisi; condizione, peraltro, nella quale i tassi di sviluppo nazionali risultavano inferiori a quelli dei principali competitors internazionali. Dall’altra parte, la disoccupazione attesa in Italia, già prossima al 7% nel 2009, è prevista crescere fino al 9%.

I nodi che impediscono all’Italia di crescere di più sono strutturali e preesistenti. In primo luogo l’enorme debito pubblico, che nel 2009 ha sfiorato il 115% del Pil, e poi il ritardo nelle infrastrutture, l’evasione fiscale accompagnata all’eccessivo carico tributario verso chi produce, la bassa produttività, ecc.

Confindustria ha lanciato le scorse settimane un messaggio del tutto condivisibile: la ripresa, anche se lenta, c’è ma va realizzato un progetto-programma di medio periodo (4 anni); e, sull’onda di questa linea, ha avviato uno studio che verrà presentato entro marzo. In effetti, le soluzioni per uscire dall’attuale situazione non sono semplici né rispondono a formule tecniche: possono essere solo di tipo politico, e richiedono anche un ripensamento di alcuni concetti e principi che, prima della crisi, venivano considerati valori sacri e inviolabili.

Sarà necessario rivisitare e aggiornare accordi come quello di Maastricht, nato in anni (i primi Novanta) in cui il quadro di riferimento era completamente diverso. E, di fatto, sotto la spinta della crisi, più di un principio fissato è stato concretamente superato. Lo stesso approccio al concetto di globalizzazione va rivisto, perché il suo evolversi sta denunciando effetti perversi che invadono anche settori ed ambiti economici per i quali non era immaginabile, fino a poco tempo fa, registrare squilibri.

Ad esempio, settori strategici come quello della raffinazione dei prodotti petroliferi stanno entrando in crisi profonda, fino alla cassa integrazione, sotto la pressione di Paesi come Cina e India che operano in condizioni di vantaggio assolutamente non paragonabili.

Ancora una volta, dunque, le soluzioni prima che tecniche saranno e dovranno essere politiche. In ciò i dirigenti dovranno giocare un ruolo attivo, come portatori dei principi di efficienza e non come spettatori muti di una realtà che, comunque vada, li vedrà coinvolti.

 

Articolo pubblicato su Professione Dirigente, periodico Federmanager Roman. 28/Febbraio 2010

 

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